giovedì 24 giugno 2010



«Si rivolga a Lourdes», o «non faccia programmi a lungo termine» sono le ultime parole che vorrebbe sentire dal proprio medico una persona che ha appena scoperto di avere la Sla.

La Sla e la comunicazione della
diagnosi : Alcuni medici:
«Vada a Lourdes»
Il grosso problema del dialogo con i pazienti

1 commento:

Fabio e Fabrizio ha detto...

MILANO (23 giugno) - «Si rivolga a Lourdes», o «non faccia programmi a lungo termine» sono le ultime parole che vorrebbe sentire dal proprio medico una persona che ha appena scoperto di avere la Sla. Eppure è proprio quello che succede in alcuni casi, secondo quanto riporta Maria Giulia Marini, responsabile sanità e salute della scuola di formazione e management Fondazione Istud. «Durante il percorso della diagnosi - spiega l'esperta, oggi a margine di un convegno a Milano per presentare uno studio sulla Sla condotto insieme alla Federazione delle aziende sanitarie e ospedaliere (Fiaso) - il problema grave è proprio la comunicazione della diagnosi: stiamo dando una notizia molto brutta al paziente, e quindi dobbiamo renderci conto che ci troviamo su un campo minato».

In Italia, i malati accertati di Sla sono circa 2.800, ma in realtà si stima siano più del doppio, almeno 6 mila. «Esiste un registro delle malattie rare all'Istituto Superiore di Sanità che dovrebbe essere aggiornato annualmente. Ma in realtà sono poche le Regioni virtuose che comunicano in modo preciso e puntuale questi dati. Di fatto ci troviamo di fronte a una sottostima della Sla, con quasi 3 mila casi invisibili». Un dato «grave - aggiunge - perchè il registro serve a programmare in modo efficace ed efficiente la programmazione sanitaria, dando anche le linee guida di indirizzo alle diverse Regioni».

Ed è proprio una migliore organizzazione quella che chiedono a gran voce i malati e i medici: «Pazienti e specialisti - dice Mario Melazzini, presidente dell'associazione Aisla e malato di Sla - chiedono una maggiore attenzione, avendo ben chiaro l'obiettivo comune: cioè la presa in carico globale della persona, e non della patologia. In Lombardia abbiamo ottimi strumenti che però devono essere resi più omogenei e applicabili in tutte le realtà. Non perchè non esistano le professionalità o le volontà - conclude - ma perchè non ci sono ancora indicazioni o tracce precise, come quelle che la Lombardia sta cercando di fare».