martedì 17 novembre 2009


BRINDISI - La famiglia della donna affetta da Sla
in Rianimazione nell’ospedale «Perrino»

chiede Silenzio E Rispetto.

Morire a 60 anni, decidendolo a mente lucida, non è solo doloroso, è atroce. Una sofferenza che dilaga e avvolge marito, figli e tutti coloro che condividono affetti profondi.

RISPETTIAMO QUESTO PROFONDO DOLORE E CI STRINGIAMO CON AFFETTO INTORNO ALLA FAMIGLIA

CIAO MIRNA

1 commento:

Fabio e Fabrizio ha detto...

BRINDISI - La famiglia della donna affetta da Sla (sclerosi laterale amiotrofica) in Rianimazione nell’ospedale «Perrino» chiede silenzio. Rispetto. Morire a 60 anni, decidendolo a mente lucida, non è solo doloroso, è atroce. Una sofferenza che dilaga e avvolge marito, figli e tutti coloro che condividono affetti profondi. Si combatte l’accanimento terapeutico perché le nuove frontiere della medicina oggi permettono di prolungare la vita in condizioni un tempo impensabili, ma ci si scontra con quello mediatico, non meno pressante.

Sotto il peso del dolore che toglie il respiro la famiglia non regge allo stress del dramma privato divorato dalle cronache e annuncia azioni legali contro l’eccessiva invadenza della curiosità dei media. Ma il dramma della donna affetta da Sla non incuriosisce, appassiona, coinvolge e impone chiarezza. Riporta all’attenzione l’eterno duello tra eutanasia e accanimento terapeutico. Un confine talvolta non netto.

La paziente è in grado di intendere e di volere. Lo ha stabilito lo psichiatra, perito nominato dal sostituto procuratore De Nozza, interessato dai medici al caso a seguito del rifiuto della donna alle cure. Ricoverata, alcuni giorni fa, nel reparto di Rianimazione per un’insufficienza respiratoria, è stata intubata. La sua vita è legata ad una macchina che le permette di respirare. Ora i medici vorrebbero sottoporla ad una tracheotomia, ossia un’incisione della trachea per aprire una via respiratoria alternativa a quella naturale. Ma lei rifiuta. Batte le ciglia e muove la testa esprimendo con angoscia il suo dissenso.

Può farlo. Lo prevede la legge sul consenso informato che si applica ogni qualvolta si consiglia una procedura terapeutica. «Se la situazione clinica della donna è quella che mi è stata riferita, nessuno può imporle di sottoporsi ad una procedura terapeutica - dichiara Emanuele Vinci, direttore sanitario della Asl Br -. Lo stabilisce l’art. 32 della Costituzione che sancisce il diritto del cittadino ad esprimere il proprio consenso o dissenso a qualsiasi procedura diagnostica e terapeutica». Spetterà, perciò, a lei l’ultimo battito di ciglia. L’unico modo che le resta, dal momento che la malattia le ha già tolto la parola e possibilità di respirare, per far capire la sua volontà: non di procurarsi la morte, ma di non impedirla. Trovando il coraggio di farsi carico dei limiti propri della condizione umana