martedì 29 gennaio 2008

Nota personale

Questo blog l'ho abbozzato su richiesta del mio amico Fabio, il quale sta combattendo la battaglia contro questa malattia che ha colpito sua madre, con tutte le conseguenze e le vicissitudine parallele che ciò comporta.
Non mi sento in grado di parlare in prima persona di questo argomento, ne so talmente poco che fare solo la figura dell'ipocrita, perciò lascio la parola diretamente a Fabio che, spero quanto prima, interverrà direttamente su questo blog che, come da suo desiderio, VUOLE ESSERE UN LUOGO D'INCONTRO E DI SCAMBIO DI ESPERIENZE PER LE PERSONE CHE AFFRONTANO LA S.L.A.
Sicuramente in questo blog si parlerà delle cure attuali, di quelle sperimentali, di quelle non ancora in atto in Italia, delle speranze riposte in nuove sperimentazioni e via discorrendo.
Non a caso il post precedente riguarda la notizia riportata dai media sulla causa vinta dalla madre di Fabio contro il Ministero della Salute per ottenere l'erogazione del farmaco Igf1, importandolo direttamente dagli Usa a spese dell'A.S.L.
Invito chiunque acceda a questo blog ad intervenire lasciando la propria testimonianza, a beneficio di tutti coloro che, da soli, affrontano questo dramma; perchè unendosi si può cercare di ottenere di più di quanto, attualmente, hanno i malati di S.L.A.
Fabrizio O.

domenica 20 gennaio 2008

Malata di sla vince ricorso «Farmaci speciali dagli Usa»

("Eco di Bergamo" del 14/01/2008)
Malata di sla vince ricorso «Farmaci speciali dagli Usa»
Il tribunale di Bergamo ha dato ragione a una malata di Sla (Sclerosi laterale amiotrofica) che aveva fatto ricorso contro il ministero della Sanità per potersi curare con uno speciale farmaco prodotto negli Usa, ma in Italia in fase sperimentale e non commercializzato. Il provvedimento è immediatamente operativo: sarà quindi l'Asl a farsi carico, dopo l'ok già arrivato dalla Regione, dell'importazione del medicinale e delle spese per l'approvvigionamento del prodotto. La spesa prevista, con fondi regionali, sarà di circa 141 mila euro. (14/01/2008)

COMBATTERE LA SCLEROSI LATERALE AMIOTROFICA

Questo blog vuole essere un luogo d'incontro ove, persone che sono venute a contatto con questa terribile malattia, possano raccontare le proprie esperienze, in modo da potersi confrontare ed ottenere validi spunti per intraprendere la via giusta per tentarne la cura.

Che cos'è la Sclerosi laterale Amiotrofica: La Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) è una malattia progressiva che colpisce i motoneuroni, cioè le cellule nervose del midollo spinale che comandano il movimento dei muscoli. Il significato letterale è: raggrinzimento (Sclerosi) della porzione laterale (Laterale) del midollo spinale e perdita del trofismo muscolare (Amiotrofica). La SLA è anche chiamata Malattia del motoneurone, Malattia di Charcot (dal nome del neurologo francese che l'ha descritta per la prima volta nel 1860) oppure Malattia di Lou Gehrig, dal nome di un famoso giocatore di baseball americano che ne fu colpito. Chiunque può essere colpito dalla SLA, anche chi ha genitori e parenti assolutamente sani. Nella maggioranza dei casi si tratta infatti di una malattia sporadica (cioè che si verifica senza che ci siano stati casi precedenti in famiglia). Più raramente si possono osservare forme ereditarie, di solito clinicamente indistinguibili dalla forma sporadica.
Come si manifesta: La sclerosi laterale amiotrofica colpisce gli adulti, in genere dopo i 40 anni. Esiste però anche una forma giovanile che si manifesta nel primo decennio di vita. I primi sintomi variano da un individuo all'altro, ma in genere consistono in alterazioni motorie, nel far cadere involontariamente oggetti, affaticamento delle braccia e delle gambe, difficoltà nel parlare, crampi muscolari. D'altra parte questi sintomi non sono caratteristici solo della SLA, ma sono comuni a molte altre patologie. Le mani sono spesso colpite per prime, rendendo difficili le normali attività quotidiane. Con il passare del tempo sempre più muscoli vengono interessati, finché la malattia assume una distribuzione simmetrica. Le funzioni intellettive e sensoriali rimangono integre, ed il malato assiste così in piena lucidità alla perdita progressiva delle proprie capacità motorie. Con il progredire della malattia si giunge alla paralisi completa degli arti e diventa difficile o impossibile deglutire, masticare e parlare. La paralisi dei muscoli respiratori rende infine necessaria la ventilazione assistita ed è purtroppo una causa frequente di morte per le persone affette da SLA.
Come si trasmette: La maggior parte dei casi di SLA sono sporadici, cioè non ereditari. Solo il 10% circa dei casi sono ereditari. In questo caso si parla di SLA familiare. La SLA familiare di tipo 1 si trasmette con modalità chiamata autosomica dominante. Questo significa che una persona affetta ha il 50% di probabilità ad ogni gravidanza di avere un figlio affetto, indipendentemente dal sesso. In questo caso non esistono portatori sani. La SLA familiare di tipo 2 si trasmette con modalità chiamata autosomica recessiva. In questo caso un individuo malato può nascere solo se riceve una copia difettosa del gene da ciascuno dei genitori, entrambi portatori sani dell'alterazione genetica.
La diagnosi: La diagnosi di SLA non è semplice ed è importante che il medico possa escludere altre patologie con sintomi simili. Tranne che per alcuni casi familiari (per cui è possibile effettuare un esame genetico), non esiste alcun test specifico per la diagnosi della SLA. Questa si basa quindi su una serie di osservazioni cliniche ed esami.
Esiste una terapia: Non esiste attualmente una terapia efficace per la SLA. Recentemente è stato approvato ed è commercializzato un farmaco specifico per la SLA, il riluzolo (Rilutek). Questo fermaco però per il momento ha dimostrato solo un effetto nell'aumentare di qualche mese la sopravvivenza di un gruppo di malati con caratteristiche cliniche particolari (anche se ora viene somministrato a tutti i pazienti con diagnosi certa di SLA).
Ricerca: Numerosi studi sono in corso per comprendere le cause della SLA e per cercare di mettere a punto terapie efficaci. Questi sono attualmente i maggiori filoni di ricerca: Nel 1993 è stata identificata la mutazione di un gene responsabile di circa un quinto dei casi di SLA familiare. Il gene alterato serve a produrre un enzima, chiamato superossido dismutasi di tipo 1 (SOD1) che normalmente svolge una funzione protettiva nelle cellule, eliminando i radicali liberi tossici. A 10 anni dalla sua scoperta, sono state finora riconosciute oltre 100 mutazioni di questo gene tutte associate alla SLA. Modelli sperimentali cellulari e animali, nei quali sono state riprodotte alcune di queste alterazioni genetiche, hanno messo in evidenza che tali mutazioni non portano ad una riduzione dell’attività dell’enzima SOD1, bensì all’acquisizione di proprietà tossiche della proteina alterata. Numerosi studi sono in corso per capire perché e come la mutazione della SOD1 sia in grado di produrre la morte selettiva dei motoneuroni. Tale informazione si ritiene possa aiutare a capire cosa succede anche nelle forme sporadiche di SLA. Nel 2001 è stata identificata la mutazione di un altro gene responsabile di una forma giovanile di SLA di tipo 2. Si tratta di un gene che codifica per una proteina chiamata “Alsina” il cui effetto biologico è simile ad una classe di proteine, conosciute come Rho-GTPasi, coinvolte in vari segnali intracellulari tra cui l’organizzazione del citoscheletro della cellula. In questo caso è la perdita di funzione della proteina la causa della tossicità, ma ancora non è chiaro perché a subirne le conseguenze siano specificamente i motoneuroni. Numerosi studi sono in corso per identificare le alterazioni genetiche legate ai restanti quattro quinti della SLA familiare. La ricerca è inoltre mirata ad individuare i fattori di rischio genetici associati alla predisposizione di un individuo a contrarre la malattia in forma sporadica. Tra le varie ipotesi di meccanismi responsabili della SLA, quelle di maggior rilievo riguardano l’accumulo di glutammato extracellulare e le alterazioni delle proteine che costituiscono lo scheletro dei motoneuroni. Il glutammato svolge un’azione eccitatoria fisiologica sui motoneuroni che, se supera un certo limite, diventa tossica provocando la morte dei neuroni stessi. Il riluzolo, l’unico farmaco che ha mostrato sinora un modesto ma significativo effetto nel prolungare la sopravvivenza di pazienti, agirebbe riducendo i livelli di glutammato extracellulare. Recentemente è stato osservato che, nei pazienti con SLA e nei topi modelli della malattia, una delle proteine responsabili della rimozione del glutammato extracellulare (conosciuta come trasportatore gliale del glutammato, ovvero EAAT2 o GLT1) è ridotta proprio nelle regioni del midollo spinale e del cervello che sono affette dalla patologia. Attualmente sono in corso degli studi mirati ad individuare nuovi farmaci in grado di attivare questo trasportatore e/o di inibire i recettori attraverso cui il glutammato può svolgere la sua azione tossica sui motoneuroni. Una delle caratteristiche neuropatologiche della SLA, che la contraddistingue da altre malattie neurodegenerative, è la formazione di aggregati proteici filamentosi nei motoneuroni la cui composizione non è ancora del tutto nota. Si ipotizza che tali alterazioni dipendano da un accumulo dei neurofilamenti (microscopiche fibre presenti all’interno dei neuroni), dovuto a difetti genetici o molecolari di queste proteine. Ad esempio un eccessiva fosforilazione dei neurofilamenti dovuta all’attivazione di chinasi può determinare il loro accumulo e portare così all’ingolfamento degli assoni impedendo il trasporto delle molecole vitali per il motoneurone. E’ altresì ipotizzabile che il meccanismo di degradazione proteica intracellulare, che normalmente serve alla cellula per liberarsi da proteine tossiche, sia meno funzionante nei motoneuroni affetti da SLA. Diversi studi sono rivolti ad indagare a fondo queste ipotesi, al fine di individuare delle molecole bersaglio per nuove terapie farmacologiche. Per quanto riguarda potenziali trattamenti farmacologici, gli studi clinici sperimentali effettuati sino ad ora non hanno ancora individuato dei farmaci efficaci in grado di migliorare la qualità di vita e di prolungare la sopravvivenza dei pazienti. I composti provati sino ad ora fanno parte di varie classi di farmaci con meccanismi d’azione diversi. Le cosiddette sostanze neurotrofiche, cioè le molecole che favoriscono la sopravvivenza dei neuroni (come il BDNF o il più recente Xaliproden) non hanno mostrato effetti benefici significativi. La miotrofina (una forma sintetica del fattore di crescita Insulin Growth Factor o IGF1) è tuttavia tuttora in esame in uno studio clinico americano in quanto i due studi clinici effettuati precedentemente hanno prodotto risultati contrastanti riguardo all’efficacia di questo composto. Uno studio preclinico recente su un modello animale di SLA ha dimostrato che quando questa neurotrofina è somministrata nei muscoli attraverso l’uso di un vettore virale e viene trasportata nel corpo cellulare del motoneurone dove è prodotta in modo costante, i topi si ammalano più tardi e la malattia progredisce più lentamente. Sebbene siano necessari numerosi esperimenti per verificare l’innocuità dell’uso di un vettore virale nell’uomo, questi studi aprono una nuova promettente prospettiva terapeutica per questa malattia. Tra le alterazioni molecolari di recente individuate c’è quella del vascular endothelial growth factor (VEGF): nei topi che mancano di questa molecola si sviluppa una malattia simile alla SLA e nell'uomo con ridotti livelli di VEGF e' aumentato il rischio per la SLA.Nei topi dove l’espressione del gene per questo fattore di crescita è aumentata, la degenerazione dei motoneuroni viene rallentata. Altri tipi di farmaci utilizzati come antiepilettici e come potenziali farmaci neuroprotettivi nei confronti della tossicità da glutammato, quali il Gabapentin e il topiramato, sono risultati inefficaci. In qualche caso il topiramato ha mostrato effetti collaterali importanti. Tra i farmaci antiossidanti, cioè quelli che proteggono le cellule dai radicali liberi, la vitamina E (alfa-tocoferolo), sebbene sia largamente usata nel trattamento sintomatico di varie patologie neurodegenerative, non ha mostrato effetti significativi sulla sopravvivenza. Attualmente è in corso uno studio clinico americano con il coenzima Q10, un antiossidante protettivo per i mitocondri, gli orfanelli che forniscono energia alle cellule, e con Celebrex un farmaco inibitore della COX2, un enzima che genera i radicali liberi. Lo studio clinico sulla creatina, che si è appena concluso in America e che è stato presentato durante il tredicesimo congresso internazionale sulle malattie del motoneurone a Melbourne in Australia nel Novembre 2002, purtroppo non ha replicato il dato preliminare di un piccolo studio effettuato nel 2001-2002 che aveva mostrato un effetto benefico di questa sostanza sul recupero della forza muscolare. Altri studi clinici in corso sia in America che in Europa riguardano la minociclina, un antibiotico già usato nell’uomo per altri tipi di patologie e che passa la barriera ematoencefalica, potendo raggiungere facilmente le regioni nervose affette dalla patologia. Recentemente, vari studi effettuati nel modello animale hanno dimostrato che questo farmaco migliora la progressione della malattia, agendo con meccanismi diversi dai farmaci utilizzati sinora. Altri importanti studi clinici, da poco iniziati in Europa, riguardano l’uso di un modulatore degli astrociti, le cellule di sostegno dei neuroni oltre che produttori di potenziali sostanze tossiche in certe circostanze (es. l’ossido nitrico e le citochine) e la pentoxifillina, un farmaco anti-infiammtorio. Diversi studi sperimentali indicano che le citochine ed in particolare il TNF (Tumor Necrosis Factor) sono modificati prima che i sintomi del deficit neuromotorio siano evidenti facendo ipotizzare un loro ruolo importante nella patogenesi della malattia. Queste molecole sono considerate dei potenziali bersagli terapeutici. Associata all'ipotesi infiammatoria e' la recente scoperta di una proteina, la p38MAPK (mitogen activated protein kinase) che si è visto essere fortemente attivata nei topi con la malattia prima che siano manifesti i sintomi. Questa proteina è attivata da una varietà di stimoli tra cui lo stress ossidativo e le citochine infiammatorie. Per quanto riguarda l’uso di cellule staminali (cioè le cellule che mantengono uno stato embrionale anche nell’adulto e che, potenzialmente, possono essere trasformate in particolari condizioni in altre cellule, tra cui i neuroni), non esiste a tutt’oggi un chiaro esempio di recupero di motoneuroni nei modelli animali. Tuttavia, recentemente, presso l’ospedale Don Bosco di Torino è stato iniziato uno studio su un piccolo numero di pazienti con SLA, a cui sono state impiantate direttamente nel midollo spinale delle cellule staminali mesenchimali, provenienti dal loro stesso midollo osseo. Si tratta di un trapianto di tipo autologo, ovvero donatore e destinatario sono la stessa persona. Questo è sicuramente un modo per salvaguardarsi da un possibile rigetto delle cellule trapiantate, ma deve tener conto dell’eventualità che le cellule del paziente stesso possano a loro volta dare origine a delle cellule malate. Questo è un importante aspetto che va approfondito in laboratorio prima ancora che nel paziente stesso. L’ osservazione dell’andamento della patologia nei pazienti trapiantati è tuttora in corso, e per ulteriori informazioni si rimanda al sito dell’AISLA (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica, http://www.aisla.it/) Il sito web della ALS Association statunitense (http://www.alsa.org/)contiene una lista aggiornata delle sperimentazioni cliniche in corso.
Note: Redazione a cura di Telethon con la consulenza scientifica del dr. A. Migheli (Dipartimento di Neuroscienze, Università di Torino, Via Cherasco 15 - 10126 Torino) e dr.ssa C. Bendotti (Lab. Neurobiologia Molecolare, Dip. Neuroscienze, Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri”, via Eritrea 62 - 20157 Milano). Ultimo aggiornamento: Aprile 2004